L’asse Gramellini-Santanché-Benigni

“Fatta eccezione per Daniela Santanchè, all’accostamento Renzi-Mussolini  non si era spinto ancora nessuno”. Ha ragione Massimiliano Gallo che, commentando per The Front Page il Buongiorno di Massimo Gramellini su La Stampa di venerdì, mette in evidenza l’inopportunità (o forse l’opportunismo) di un accostamento tanto ardito. Solo la Santanché, il giorno prima, aveva accostato definito Renzi, a L’Aria che tira, come un mix tra Grillo e Mussolini. All’accostamento Renzi-Mussolini, seppur in versione più soft, è arrivato anche Eugenio Scalfari in un editoriale su Repubblica di oggi.

Torniamo però a Gramellini che, partendo da questo cinguettio di Matteo Renzi, scrive:

Chissà cosa avrebbe combinato il meno democratico ma non meno energico Mussolini se avesse avuto a disposizione Twitter. Agli italiani, specie a quelli più addormentati, il mito del capo insonne è sempre piaciuto. Il guaio, per il capo, è che a un certo punto si svegliano. Di solito di pessimo umore.

Mettendo da parte Renzi, e se volete pure Gramellini-Santanché-Scalfari, il vero punto è un altro: il giornalismo di casa nostra, purtroppo, giustifica la sua ragion d’essere nel nemico, non nell’indagine di una qualsivoglia verità (scusate il parolone).

Mentre le firme di punta delle testate estere ambiscono ad intervistare i protagonisti della storia contemporanea, da noi, i mâitre à insulter, ambiscono solo a ridicolizzare i leader. Del potere, quello vero, non gli importa nulla: la priorità è innalzare se stessi oppure, ma dovremmo riconoscercelo, per i giornalisti italiani la leadership carismatica è un tabù. In quest’ultimo caso è necessaria una rivoluzione culturale. Se invece lo scopo è innalzare se stessi attraverso la ridicolizzazione del leader allora ad essere in atto è una degenerazione narcisistica del giornalismo.

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Il lungimirante Roberto Benigni, nel dicembre del 2006, con Prodi al governo, ci aveva visto lungo sulla dipendenza da nemico su cui si regge il presunto sistema culturale italiano:

«Silvio ci manchi, soprattutto a noi comici. Io da quando ti hanno cacciato da Palazzo Chigi mi sono buttato su Dante. La Guzzanti su Ariosto. La verità è che noi comici (nda: senza di te) siamo disoccupati».

Quel Silvio ci manchi senza di te siamo disoccupati, applicato al giornalismo, è la rappresentazione perfetta della degenerazione narcisistica a cui facevo riferimento prima.

Per ora, di certo, c’è solo un dato: la macchina si è rimessa in moto. Il nemico adesso è Renzi, domani si vedrà.  Sarebbe però bello, se la fine del berlusconismo come fenomeno politico (ma non culturale), inducesse noi cittadini ad ascoltare con orecchie diverse le critiche ad personam.  Sarebbe bello avere chiaro che la finalità di chi attacca il politico e non le sue po-li-ti-che, non è quella di offrirci un’informazione migliore, ma di celarci quella che non ci viene data.

É la stampa, bruttezza.

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